di Michela Barzi
In provincia di Varese il suolo antropizzato,
cioè sottratto agli ambienti naturali e seminaturali (corpi idrici, aree umide,
boschi e aree agricole) tra il 1999 ed il 2007 è passato dal 27,6% al 29,2%
della superficie territoriale. Il terreno coperto da aree residenziali,
produttive ed infrastrutturali e da cantieri, cave e discariche è aumentato del
1,6% rispetto alla superficie provinciale totale e del 5,6% rispetto alla sua
estensione nel 1999. All’origine dell’avanzata delle aree antropizzate, che in
otto anni ha riguardato una superficie maggiore di quella del comune di Lozza
dove vivono più di 1200 abitanti, non vi è solo lo sviluppo dei principali poli
urbani della provincia, Varese da una parte, e l’ormai unica conurbazione Gallarate-Busto-Tradate-Saronno
dall’altra. Il consumo di suolo è un fenomeno che non risparmia nemmeno quei
settori del territorio provinciale connotati da un più alto livello di naturalità.
La superficie antropizzata interna agli ambiti della rete ecologica di primo livello
(core area principale), che corrisponde al 28,5% della superficie provinciale,
è aumentata del 9,7%, un dato che pur essendo molto piccolo rispetto al totale
del consumo di suolo è significativamente maggiore dell'incremento medio provinciale.
Al di là dell’edificazione di qualche piccolo insediamento residenziale o
produttivo, il settore che ha dato il maggiore contributo a questo incremento è
quello delle attività estrattive, delle discariche e dei cantieri. Dai dati presentati
nell'ambito del workshop sul consumo di suolo tenutosi presso la sede dell'amministrazione
provinciale il 28 marzo scorso (http://www.provincia.va.it/code/35402/Seminari-Workshop-Convegni),
emerge che all'interno di ambiti appartenenti alla rete ecologica di primo livello
674000 mq di terreni in maggioranza boschivi sono stati trasformati in attività
estrattive, discariche e cantieri. Questo significa che per ogni anno del periodo
preso in esame è stata consumata, solo per questo tipo di attività, una superficie
un po' più grande a quella di 8 campi da calcio. Il consumo di suolo prodotto
in particolare dalle attività estrattive è evidenziato dai dati relativi ai comuni
che le ospitano, nei quali l'incremento della superficie antropizzata è
maggiore di quello medio provinciale (è il caso, in particolare, di Caravate e
Ternate, comuni che ospitano attività estrattive che alimentano due cementifici).
La Provincia di Varese, se da un lato sta
lavorando per rafforzare la connettività della rete ecologica, dall'altro
autorizza, attraverso il suo Piano Cave, l'ampliamento di attività estrattive
che ad essa sottraggono suolo. La riapertura della cava Nidoli di
Cantello, prima inserita e poi stralciata dal Piano Cave su richiesta di un
vasto movimento di protesta, è un altro caso di intervento che andrebbe
ad incidere sulla rete ecologica di primo livello. In particolare l'avvio
di questa attività estrattiva andrebbe ad impattare sul nascituro Parco Locale
d'Interesse Sovraccomunale Valle della Bevera, un area fondamentale per la
connettività della rete ecologica. Un'altra cava che potrebbe riaprire la
propria attività, con finalità di recupero che però si configura come una massiccia
attività estrattiva, è ubicata nel cuore del Parco Regionale del Campo dei
Fiori, nelle immediate vicinanze della Riserva
naturale Martica - Chiusarella. Il progetto di recupero di questa
cava sta attraversando l’iter di Valutazione d’Impatto Ambientale senza nessun
coinvolgimento del pubblico, ed in particolare delle comunità locali che vivono
nei pressi dell’impianto. Forme di protesta contro la riapertura della cava
potrebbero sorgere anche per questo caso e fino a quel momento i cittadini non
saranno minimamente informati sugli effetti ambientali del progetto e sulle
ricadute che l’avvio dell’attività avrà sulla qualità della loro vita.
In un territorio in cui il consumo di suolo,
nelle sue diverse declinazioni funzionali, è diventato un problema ambientale e
non solo, riconosciuto anche dalle istituzioni che lo governano, una più approfondita
valutazione dei fabbisogni estrattivi e un più incisivo ricorso alla
partecipazione delle comunità locali nei processi decisionali, strumento
peraltro previsto nell’iter della Valutazione Ambientale Strategica e mai
utilizzato, dovrebbero essere elementi fondativi della costruzione degli
scenari sul quale si dovrebbe basare il Piano Cave. Vi sono queste carenze della pianificazione
provinciale all’origine del conflitto sorto sulla cava di Cantello e che coinvolge,
ormai da molti mesi, le comunità e gli
enti locali da una parte ed il proprietario del sito dall’altra.
Persino la politica si è accorta che c’è
bisogno di una diversa regolazione delle attività estrattive. Nelle scorse settimane tre proposte di legge di riforma delle norme regionali sulla
materia sono state presentate alla Commissione Ambiente del Consiglio Regionale
che sta lavorando al superamento della legge vigente, molto carente proprio sul
piano del coinvolgimento di quegli enti e comunità locali direttamente interessati
agli effetti delle attività estrattive. Vedremo se l’organo
di governo della regione sarà in grado di approvare una nuova legge che sia improntata,
così come si auspica nelle proposte in esame, ad un maggiore rigore nei criteri
con i quali vengono individuati i siti da bonificare, alla incentivazione del recupero qualitativo delle cave dismesse,
alla contrazione del numero dei siti estrattivi regionali ed alla conseguente riduzione
del consumo di suolo.